Ritorno a casa, dopo Fivizzano
Sul n. 35 de La Portassa del 1996 avevamo raccontato la storia dei quattro militari (tre di Osasco ed uno di Bricherasio) tornati a piedi a casa da Fivizzano, dopo l’8 settembre ’43.
Avevamo ancora potuto raccogliere la testimonianza diretta dai due protagonisti ancora in vita, Enrico Camusso e Giovanni Pacchiodo oltre che da alcuni testimoni che, per primi, avevano visto e riconosciuti quei giovani compaesani.
I due testimoni-protagonisti ci avevano tra l’altro raccontato che l’otto settembre 1943 alcuni militari tedeschi, dopo essersi fatti consegnare le armi dai nostri militari, gli avevano detto: tornate pure a casa, la guerra per voi è finita.
Dopo un momento di smarrimento, i quattro avevano intrapreso la marcia, che noi avevamo raccontato sul nostro giornalino.
Recentemente ci è casualmente capitato di leggere un articolo su Wikipedia che racconta un grave eccidio successo nel 1944 a Vinca, frazione di Fivizzano, cittadina in provincia di Massa Carrara in cui, anche i nostri militari si erano improvvisamente ed inaspettatamente trovati ad essere degli “sbandati”.
Il 18 agosto 1944 l’assalto ad un automezzo tedesco lungo la strada Monzone-Vinca, causò l’uccisione di un ufficiale tedesco e fu pretesto per una rappresaglia, nella strategia generale di tenere sotto controllo con il terrore la popolazione civile.
Il 24 agosto 1944 oltre 50 automezzi carichi di soldati tedeschi e militari fascisti salirono verso il paese di Vinca, toccando Equi Terme, Monzone ed altre frazioni limitrofe.
La zona era conosciuta per essere sotto il controllo dei partigiani, essendo i vari valichi spesso percorsi dalle staffette che permettevano il collegamento con le squadre presenti sugli altri versanti.
I soldati dell’Aufklarungs-Abtellung 16 (Reparto Esploratori 16) comandato dal maggiore Walter Reder (dipendente dalla 16.SS-Panzergrenadier-division “Reichsfùher-SS”) arrivarono al paese di Vinca nella prima mattinata del 24 agosto, salendo da Monzone, mentre altre colonne accerchiarono la zona dalle valli sul versante della Garfagnana e da quello di Carraral.
Un centinaio di brigatisti neri di Carrara guidarono le SS lungo i sentieri nei boschi limitrofi per trovare la popolazione civile, che vi si era rifugiata all’arrivo dei convogli: difatti, la maggior parte delle vittime si rinvenne fuori dall’abitato.
Una volta bloccato l’accesso al villaggio, i Nazifascisti iniziarono ad uccidere gli abitanti rimasti (quasi tutti vecchi ed invalidi poiché chi poteva era fuggito nei boschi) ed a saccheggiare e bruciare le case.
A sera, rientrarono a valle.
Il giorno seguente, molti degli abitanti che erano riusciti a rifugiarsi altrove tornarono in paese per cercare cibo, seppellire i morti e salvare quanto potevano dalle case in fiamme; tuttavia, vennero colti di sorpresa dall’improvviso ritorno dei Nazifascisti, che fecero ancora più vittime del giorno precedente ed estesero il rastrellamento a tutte le zone vicine.
Le vittime accertate furono 173: molti cadaveri vennero rinvenuti nudi, decapitati od impalati, compreso un feto strappato al ventre della madre uccisa.
Alcune testimonianze riportarono che gli aguzzini avevano l’organetto che facevano suonare mentre uccidevano passando di casa in casa, dettaglio questo comune ad altre stragi perpetrate in zona.
Evidentemente all’otto settembre 1943 i militari tedeschi che avevano detto a quelli italiani che “la guerra per voi è finita…” sapevano che per loro non sarebbe stato così.
Giuseppe Gilli
CONSIDERAZIONI SU QUESTA DATA
Siamo vicini al 25 aprile, data da ricordare in quanto simbolo di un triste momento della nostra storia. Si sta cercando in tutti i modi di sminuirne il valore. Si sta cercando di far passare che i morti, compendio finale del significato di questa data, sono tutti uguali.
In parte trovo anche giusta questa asserzione, però non bisogna dimenticare che da vivi si era diversi. Diversi per ideologia, diversi per obbligatorietà di appartenenza, diversi per situazioni storiche.
Bisogna aver la forza di comprendere il momento che ha portato la data del 25 aprile 1945 ad assumere il significato che ha.
Dovrebbe significare il ricordo della fine di un bruttissimo periodo della storia d'Italia e non l'esaltazione di un qualcosa.
Vedo sovente che sui social network si sta cercando di far apparire il fascismo come un periodo in cui in Italia sono state fatte cose meravigliose. Bisogna ricordare che quel regime è
terminato con decine di migliaia di morti, la nostra patria completamente distrutta e un'atmosfera di odio in buona parte perdurante tuttora. Gran bel finale !!!
Certamente il discorso da fare sarebbe molto più lungo.
Pensare a tutti questi morti porta molta tristezza e mi fa venire in mente una bellissima canzone di De André cantante e poeta morto proprio vent'anni fa . Canzone che semplicemente
narra la storia di due ragazzi che, contro la loro volontà, si trovano uno contro l'altro. In essa vedo tanta poetica tristezza e una ferrea condanna di tutte le guerre.
Tante volte l'ho letta e sempre mi ha fatto meditare.
"... Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa non è il tulipano
Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi
Lungo le sponde del mio torrente
Voglio che scendano i lucci argentati
Non più i cadaveri dei soldati
Portati in braccio dalla corrente
Così dicevi ed era inverno
E come gli altri verso l'inferno
Te ne vai triste come chi deve
Il vento ti sputa in faccia la neve
Fermati Piero, fermati adesso
Lascia che il vento ti passi un po' addosso
Dei morti in battaglia ti porti la voce
Chi diede la vita ebbe in cambio una croce
Ma tu non lo udisti e il tempo passava
Con le stagioni a passo di giava
Ed arrivasti a varcar la frontiera
In un bel giorno di primavera
E mentre marciavi con l'anima in spalle
Vedesti un uomo in fondo alla valle
Che aveva il tuo stesso identico umore
Ma la divisa di un altro colore
Sparagli Piero, sparagli ora
E dopo un colpo sparagli ancora
Fino a che tu non lo vedrai esangue
Cadere in terra a coprire il suo sangue
E se gli spari in fronte o nel cuore
Soltanto il tempo avrà per morire
Ma il tempo a me resterà per vedere
Vedere gli occhi di un uomo che muore
E mentre gli usi questa premura
Quello si volta, ti vede e ha paura
Ed imbracciata l'artiglieria
Non ti ricambia la cortesia
Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che il tempo non ti sarebbe bastato
A chiedere perdono per ogni peccato
Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che la tua vita finiva quel giorno
E non ci sarebbe stato ritorno
Ninetta mia crepare di maggio
Ci vuole tanto, troppo, coraggio
Ninetta bella dritto all'inferno
Avrei preferito andarci in inverno
E mentre il grano ti stava a sentire
Dentro alle mani stringevi un fucile
Dentro alla bocca stringevi parole
Troppo gelate per sciogliersi al sole
Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa non è il tulipano
Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi ..."
"La guerra di Piero" di Fabrizio De André
25 aprile : data da non dimenticare e da ritenersi punto di partenza per tutti coloro che hanno la buona volontà di considerarla simbolo di riappacificazione facendo in modo che tali eventi mai più abbiano a verificarsi.
Pur tuttavia mai come oggi è necessaria una seria vigilanza a fronte di una pericolosa rinascita di desideri di autoritarismi non giustificabili davanti alle tante possibilità di informazioni sulla
storia passata. La storia dovrebbe sempre essere maestra di vita. La capacità e la necessità di informarsi diventare obbligo morale.
Franco Picatonotto
PICCOLA GRANDE STORIA
Approfitto di questa occasione per raccontare un piccolo aneddoto di famiglia.
Mio padre, classe 1917, nel 1935, a diciotto anni, viene chiamato per il servizio militare.
Allora lavorava alla RIV di Villar Perosa e la maggior parte di coloro che operavano presso questa azienda, vista la specializzazione meccanica appropriata, venivano destinati alla
marina militare.
Drammaticamente, con alterne vicende, il suo servizio militare dura fino al 1945.
Dieci anni !! Tutta la sua giovinezza rubata. E' una situazione che dovrebbe far pensare tutti.
Questi sono numeri reali e non solo parole legate ad un racconto storico in cui uno non fa quasi mai caso ad altro se non al semplice susseguirsi di righe di lettura.
Mio padre non amava raccontare momenti di questo suo periodo di vita. Sempre e solo pochi aneddoti ( Trasporto truppe in Albania, Etiopia, battaglia di Capo Matapan, punta Stilo,
bombardamento della flotta italiana nel porto di Taranto). Comunque sempre e solo poche parole. La colpa me la attribuisco anche da solo perché probabilmente non sono stato capace di sollecitarlo. Dubito tuttavia della sua volontà di dilungarsi.
Ricordo però ancora con nostalgia diverse fotografie in bianco/nero riposte in un cofanetto di legno che ritraevano, tra l'altro, bellissime immagini di ragazze Etiopi o Somale immortalate durante lo sbarco delle truppe nel Corno d'Africa durante quella triste spedizione. Nonna le fece sparire perché probabilmente ritenute un pò troppo birbone ( altri tempi ...!!). Tanto rincrescimento per questa sparizione. Ce ne sono ancora altre che narrano la vita sulla sua nave. Ne ricordo una in particolare fatta durante la visita del Re.
Questo é l'antefatto.
L'aneddoto però é un altro.
Settembre 1943. La sua nave, incrociatore Giuseppe Garibaldi, si trova nel porto di Tolone ( Francia). I tedeschi arrestano i marinai e li trasportano in un campo di prigionia in Polonia. Il
suo racconto si limita sempre e solo a questo. Poche notizie su trasferimento e detenzione.
Non so in quale periodo ma con un gruppo di suoi compagni di sventura riesce a fuggire.
Misterioso tragitto attraverso le desolate lande dell'Europa disastrata. Non conosco altro. So solo che cavoli e patate erano diventate alimenti piuttosto detestati nella sua dieta.
Sempre nel suo scarno racconto, agosto 1945, si trova, macilento e penso anche al limite delle forze con una misera valigia di cartone, a Porta Nuova a Torino. Seduto su una panchina, il suo sguardo viene attirato da un'altra persona conciata come lui seduto di fronte su un'altra panchina .
Enorme il suo stupore. Io non riesco ad immaginare diversamente tale momento se non cercare un aggettivo che sostituisca in modo ancora più significativo l'aggettivo "enorme".
Davanti a lui riconosce il suo più caro cugino ( figlio del fratello della mamma) che naturalmente non vedeva da una montagna di anni. Anche lui segnato da tragiche peripezie di guerra nella campagna di Grecia e reduce da un avventuroso viaggio di ritorno dal campo di prigionia tedesco di Lubecca.
Immagino il momento :" ... ma tu sei Mario ...." ?? "...ma tu sei Domenico...". ??
Mai mi è stato raccontato il dopo di quell'attimo, tanta era la commozione del racconto.
Cerco di immaginarlo e penso che attimi del genere possono solo essere racchiusi nell'anima delle persone che lo vivono.
Viaggio di ritorno a Pinerolo . Trovano piazza Fontana agghindata da giostre ( penso poche) e da banchi di mercato disposti per la fiera di agosto. Un pò di festa dopo la tragedia.
Ho verificato e aggiornato questo aneddoto con mio cugino Bruno, figlio di Mario.
Questo cugino diventato di primo grado perché qualche anno dopo i due reduci, oltre che essere cugini, diventeranno anche cognati. Sposeranno due sorelle di Bricherasio : Pina ed Evelina.
Franco Picatonotto
LA GRANDE GUERRA
Nel corso dell’anno che sta per finire, in molte parti del paese, sono state organizzate manifestazioni per ricordare il centenario della fine della Grande Guerra.
Purtroppo mi sembra che tali manifestazioni non sempre rappresentano una condanna chiara e definitiva di quel conflitto, che il papa in carica in quel periodo – papa Benedetto XV - definì “inutile massacro”.
Fortunatamente le nostre generazioni non hanno vissuto quelle disastrose situazioni, ma chi le ha dovute subire, spesso preferiva non parlarne, per non rinnovare il dolore nel ricordare avvenimenti terribili.
Chi tra noi non è più giovanissimo, ha forse avuto la possibilità di sentire qualche frammento di discorsi su quella guerra, dai quali ha potuto rendersi conto, anche se in piccolissima parte, di cosa aveva significato vivere in quel periodo.
Ricordo una vecchietta, Carola Rivoiro detta “Carolina”, che mi raccontava che anche qui ad Osasco la guerra condizionava la vita di tutti i giorni - sebbene i combattimenti avvenissero a centinaia di chilometri di distanza - perché anche alcuni nostri compaesani erano stati inviati nelle zone di scontro con altri eserciti. Le donne alla sera lavoravano alacremente per confezionare calze ed indumenti di lana per mandarli a familiari o conoscenti in guerra, mentre i pochi uomini rimasti in paese – per lo più anziani e bambini – dovevano sostituire nei lavori le forze più valide che si trovavano al fronte.
Anche se a distanza di tanti anni, Carolina ancora non poteva contenere l’emozione nel raccontare che quando finalmente la guerra finì, in tutto il paese scoppiò una grande festa, la gente non riusciva a contenere la gioia, si abbracciava per le strade con un’allegria che era stata dimenticata per troppo tempo. Per annunciare l’avvenimento atteso da anni, furono persino messe in moto le campane, il cui suono dava l’impressione di essere particolarmente gioioso.
Purtroppo però, non tutti poterono festeggiare allo stesso modo l’avvenimento: troppi erano i concittadini, i conoscenti, gli amici o parenti che non sarebbero mai più tornati alle proprie famiglie, ai propri affetti, alle proprie attività.
Per noi resta abbastanza difficile capire il clima di quei tempi, come una campagna preparatoria orchestrata da tempo, fosse riuscita ad inculcare tanto odio verso altri Paesi, anche confinanti, con i quali c’erano sempre stati rapporti di buon vicinato, dove tra le comunità locali si erano sviluppati rapporti commerciali, di lavoro, ecc.
Si arrivava all’assurdo di non sapere forse dove si trovasse fisicamente l’Austria, ma di essere stati convinti che lì si trovavano i peggiori nemici della nostra Patria.
A tal proposito ricordo un nostro anziano concittadino che si lamentava con me del comportamento del nostro Stato, che non gli aveva mai concesso il riconoscimento che a suo giudizio avrebbe meritato per quanto da lui fatto in guerra. Io, che nella mia spensieratezza giovanile non mi rendevo ancora conto di cosa fosse stata realmente quella guerra, quando sentii quale era stato il suo grande merito per pretendere un riconoscimento dallo Stato, quasi non mi resi conto della gravità della sua affermazione: il suo merito era di aver ucciso un Austriaco!
Ricordo di aver provato un grande disagio nel sentire un’affermazione così grave, fatta con estrema naturalezza da una persona ora così NORMALE, tranquilla, un po’ indebolita dagli anni, buon padre di famiglia. Come aveva potuto una tal persona, compiere un atto così orrendo? Com’era possibile che non gli fosse mai venuto il dubbio di aver compiuto un grosso errore? Di aver ucciso un giovane che, come lui, aveva affetti familiari e progetti di vita esattamente come i suoi?
Ma la cosa che ancora di più mi aveva sorpreso ed amareggiato era il fatto che dopo tanti anni, dopo le notizie ormai di dominio pubblico sull’inutilità di quella strage, ancora avesse il coraggio non solo ricordare con orgoglio di aver preso parte attiva a quel drammatico fatto, ma addirittura vantare dei meriti per avere tolto la vita ad un giovane sconosciuto, che qualcuno gli aveva messo in testa si trattasse di un nemico.
Certamente anche quella persona ormai anziana, era una vittima dell’indottrinamento che sempre precede ed accompagna ogni conflitto.
Ricordo invece un altro conoscente che aveva partecipato ad un conflitto e, con una filosofia tutta sua diceva: la guerra serve solo a distruggere uomini e mezzi!
È vero che la tragica guerra del ’15-18, costata la vita a 600.000 giovani italiani ma complessivamente a 6.000.000 di persone, è ormai lontana nel tempo per cui non è più possibile avere testimoni oculari, però forse qualcuno ricorda racconti sentiti da persone più anziane e noi saremmo disposti a pubblicare su questo giornale, racconti o testimonianze, per far conoscere alcune delle problematiche che ogni guerra comporta.
Giuseppe Gilli